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"HYBRID" E LA PIETRA LECCESE

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IL PROF. SCUPOLA: ASPETTIAMO CON ANSIA DI SPERIMENTARE IL PRODOTTO BREVETTATO DA UNISALENTO PER PROTEGGERE LA PIETRA LECCESE

Dall’acqua cristallina, al sole splendente delle giornate estive. Dal caldo torrido, alla brezza fresca della tramontana, dalle squisite linguine ai frutti di mare alle orecchiette. Dalla vivacità che anima la città tutte le sere, fino agli esempi di barocco unici al mondo. In una parola Lecce; città dalle mille risorse e che annovera, tra le sue particolarità, le cave di pietra leccese. Tale pietra è utilizzata per la maggior parte degli edifici della città, ma anche dagli artisti salentini nelle loro opere. Ma come preservarla dall’effetto disgregatore del tempo?

Scultori e maestri scalpellini - i pochissimi in circolazione - hanno riposto grandi attese nella scoperta e nella prossima commercializzazione di “Hybrid”, il protettivo ibrido organico-inorganico, nano strutturato e fotopolimerizzabile, trasparente, traspirante ed ecologico, studiato per salvaguardare le pietre porose sperimentato nei laboratori di Unisalento.

Ne abbiamo parlato con un esperto che lavora la pietra leccese da molti anni, il prof. Giovanni Scupola docente di scultura nel Liceo artistico Ciardo-Pellegrino di Lecce.

Prof. Scupola, quali sono i peggiori nemici della pietra leccese?

Oramai si sa da tanto. Il peggiore nemico è l’umidità. Non tanto quella delle piogge e delle intemperie,...

ma quella che trasuda dal basso verso l’alto. Quando la pietra si impregna di umidità durante l’inverno e poi, in primavera si asciuga, porta con sé anche dei sali; il cosiddetto “salmastro” della pietra, che la deteriora. Tutti gli edifici e le chiese leccesi, costruite con tale materiale, presentano una discontinuità tra la parte inferiore: più rovinata e quella superiore che lo è meno. Quando le zone superiori sono soggette alle intemperie e alla repentina asciugatura a causa del calore solare, si genera una patina molto resistente e dura come il carbonato di calcio capace di proteggere e preservare la pietra leccese. Tale processo non avviene  nella zona inferiore; dove l’umidità, oltre che provenire dall’esterno, trasuda per capillarità dal basso verso l’alto e danneggia la pietra.

 

Fino ad oggi gli scultori, ma anche i costruttori, come l’hanno difesa e protetta da questi ultimi?

Un tempo veniva protetta con il latte che contiene la caseina,capace di proteggere e rendere la superficie impermeabile, ma tale effetto  non dura nel tempo. Un’altra protezione utilizzata era il latte di calce,ottenuto dal processo di spegnimento della calce viva con l’acqua, durante il quale, sulla superficie, si forma una patina trasparente di acqua e calce che dura, una volta applicata sulla pietra,  per un arco di tempo limitato. L’unica cosa più duratura e che non deteriora la pietra è la patina generata degli agenti atmosferici.

Lei, che scolpisce la pietra leccese da molti anni, in che modo ha tentato di risolvere il problema?

Il problema non si è mai risolto del tutto. Io utilizzavo e utilizzo ancora, il silicato di sodio che, diluito in acqua, tende a proteggere e irrobustire la superficie della pietra. Anche questo trattamento va ripetuto più volte a distanza di qualche anno, perciò non è mai definitivo.

Ci sono delle sue opere che si sono deteriorate perché esposte all’aperto? Quali sono? Ha svolto interventi di restauro?

Ci sono delle mie opere all’aperto che hanno formato una patina protettiva, che ha modificato un po’ il colore, ma non è stato necessario effettuare una pratica di restauro. Il colore assunto nelle varie parti dipende anche dalla disposizione rispetto al sole: nelle zone su cui esso batte le sculture diventano più resistenti e dorate. Nelle zone di ponente o tramontana, invece, è più facile che le opere presentino, con il tempo, un deterioramento maggiore; dovuto alle sostanze organiche che le intaccano, come le muffe. Ci sono delle mie opere dislocate nel comune di specchia, vi è anche un monumento ai caduti, non in pietra leccese, ma in pietra di carovigno, un materiale diverso ma che si deteriora allo stesso modo con il trascorrere del tempo. Di solito all’esterno non utilizzo la pietra leccese; preferisco usare materiali più resistenti. Il carparo, ad esempio, sembra più fragile, ma in realtà è più resistente agli agenti atmosferici. Soprattutto se è  duro e compatto. Infatti, nei palazzi leccesi, è stato utilizzato nella zona inferiore, proprio per questo motivo e per evitare i danni che la pietra leccese avrebbe presentato a causa dell’umidità.

Che cosa si aspetta da “Hybrid”: il prodotto inventato da alcuni ricercatori di Unisalento? Pensa di poterlo utilizzare?

Io quanto prima vorrei utilizzarlo, per verificare i risultati, spero che sia eccellente come affermano e che sia resistente nel tempo. Non sono a  conoscenza del tipo di sperimentazioni effettuate, ma se sono state realizzate anche sul risultato a lungo termine, di sicuro sarà un buon prodotto. Sembra che non alteri o snaturi  la pietra leccese, conferendogli maggiore durezza e consistenza. Spero inoltre in dei risultati positivi; in modo da risolvere il problema.

A scuola, ai suoi alunni, trasmette la cultura della protezione della pietra? In che modo?

La trasmetto innanzitutto istruendoli sul tipo di prodotto utilizzato attualmente. Ma trasmetto anche quella che è la protezione a livello di restauro della pietra leccese; quindi: come intervenire su eventuali danni, come restaurare senza intaccatele superfici e così via.

I miei alunni, molto spesso, sono a conoscenza di questi metodi e riescono ad applicarli.

Li indirizzo dunque, non solo verso la via della produzione di opere, ma anche verso quella del restauro di altre.

Chiara Malitesta

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